Combina le parole vetro, arte e artigianato e individua una località. Hai pensato a Murano, non è vero? Ma oggi vogliamo portarti a scoprire una seconda affascinante tradizione, sospesa tra il mito e l’indagine storica, tra l’eleganza e il pragmatismo, tra una florida espansione e una sofferta decadenza. Benvenuto ad Altare: la fenice del vetro.
Una rivalità secolare
Località sita nell’entroterra savonese, Altare è infatti la piccola patria del vetro soffiato. Essa fu sede di importanti e numerose vetrerie che rivaleggiarono per lungo tempo con quelle di Murano.
Suggestive e singolari sono le leggende che raccontano l’origine della produzione vetraria ad Altare.
Le origini: tra mito e storia
Si narra che l’Abate del Cenobio dell’“Insula Liguria” (Isolotto di Bergeggi) favorì il trasferimento di alcune famiglie di vetrai fiamminghi in Altare, dopo aver ammirato le montagne circostanti, ricche di boschi di legna forte, utile come combustibile per le lavorazioni.
Un’altra versione attribuisce il merito ad alcuni nobili normanni, i quali, reduci da una Crociata dell’XI secolo, favorirono l’installazione di fornaci, mediata dall’esperienza di monaci compatrioti.
Ma la leggenda si allarga anche ad artigiani siriani o armeni. E soprattutto ai monaci Benedettini, custodi di diverse tecniche di lavorazione, tra cui appunto quella del vetro. Questi ultimi, molto probabilmente, insegnarono l’arte ai locali favorendo la nascita della comunità.
Università del Vetro: la nascita della corporazione
Comunque sia, diverse testimonianze attestano che già nel 1100 circa ad Altare era fiorente l’attività vetraria, la quale raggiunse il massimo splendore nel corso dei secoli XV e XVI.
Dall’unione di diverse famiglie nacque inoltre una potente Corporazione: l’Università del Vetro, favorita dai Marchesi del Monferrato, signori dei territori. Il diritto di appartenenza a tale Corporazione spettava solo ai figli maschi di queste famiglie. Ad essi venivano concessi il titolo di gentiluomo e persino esenzioni da tributi e gabelle.
Regole e arbitri
I primi Statuti a regolare i diritti e doveri dei vetrai risalgono al 1495. Sull’osservanza di questi Statuti vigilava il Consolato dell’Arte Vitrea, composto dai sei Consoli eletti, ossia da sei tra i maestri vetrai più prestigiosi.
A differenza di Venezia che per secoli riuscì a serbare i segreti dell’arte vetraria, l’Università altarese non ne impedì la diffusione, ma la regimentò.
La straordinaria diffusione del vetro altarese
Le famiglie di vetrai altaresi emigrarono infatti in ogni parte del mondo conosciuto, aprendo fornaci e diffondendo uno stile le cui imitazioni costituivano una categoria ben nota, definita façon d’Altare, al pari della façon de Venise.
Le migrazioni più prestigiose avvennero durante il regno di Luigi XIV: il ministro delle Finanze Colbert favorì l’ingresso in Francia dei vetrai di Altare concedendo loro titoli di nobiltà ed esenzioni fiscali, con l’intento di carpirne i segreti.
La ritualità: tra religione e spirito comunitario
Le lavorazioni del vetro si svolgevano da San Martino a San Giovanni Battista. Il periodo estivo era riservato alla riparazione delle fornaci e alla scorta di materie prime e combustibile.
L’inizio del lavoro nelle fornaci era solennizzato dalla cerimonia della “messa a fuoco”. Si trattava di un rito dal carattere tanto religioso quanto sociale. Il sacerdote benediceva due ceri consegnandoli a due bambini travestiti da angeli. Questi ultimi, scortati dai Consoli e dai maestri vetrai, si recavano nelle fornaci e accendevano i fuochi.
Il maestro soffiatore era poi chiamato ad eseguire, come prima opera, un fiasco di grande capacità, che, riempito di vino e abbinato ad una torta di riso, era portato ai lavoratori per inaugurare la produzione.
La lotta all’Università del Vetro
L’attività dell’Università del Vetro proseguì alternando periodi prosperi ad altri travagliati, quando non critici, dovuti a lotte politiche, guerre, concorrenza e persino alla peste.
Ma il colpo più duro all’Università lo assestò un conflitto di classe. Il Consolato rappresentava infatti l’unica autorità di Altare e tale potere non era gradito ad una classe emergente di cittadini, formata da piccoli imprenditori, commercianti e proprietari. Il malcontento sfociò in lotte pluridecennali che si conclusero nel 1823 con il Manifesto Reale che decretò la soppressione dell’Università.
Seguirono anni di decadenza e umiliazione per gli artisti del vetro, costretti a lavorare nelle poche fornaci rimaste, in condizione di sfruttamento.
L’epica fondazione della Società Artistico Vetraria
Solo nella notte di Natale del 1856 venne rifondata la Società Artistico Vetraria Anonima Cooperativa, importante esempio italiano di unione di capitale e lavoro e brillante simbolo del riscatto di un’intera comunità.
Sicuramente più evocativa di questa descrizione è la lettera che l’avvocato Pietro Lodi, il più illuminato dei padroni altaresi, indirizzò ai figli per narrare la fondazione della Società:
“La sera stessa in cui si doveva, nella vicina Parrocchia, celebrarsi a mezzanotte il mistero dell’umana redenzione, in quello stesso momento firmavasi nelle sale di vostro zio l’atto della redenzione dell’Arte Vitrea, e non saprei descrivere l’entusiasmo e le espansioni di quel momento. Tutti mi volevano, mi stringevano la mano e mi abbracciavano chiamandomi il loro liberatore, il loro benefattore, il loro padre. Non si poteva ideare cosa più bella. La Provvidenza farà il resto”.
L’ingerenza della politica
Nonostante il volume di affari di cui Altare cominciava a godere, i progressi tecnologici delle fornaci e i diversi riconoscimenti italiani e internazionali, il Governo credette di trovare in questa Associazione un elemento in contrasto con le Istituzioni Nazionali.
Inoltre, i trattati commerciali del 1863 e del 1867, stabiliti rispettivamente con Francia e Austria, inflissero un ulteriore colpo alla Società, favorendo le economie e i prodotti di queste nazioni rispetto a quelli locali.
L’epilogo nel dopoguerra
La Società Artistico Vetraria, ispirata ai principi di solidarietà, fu affossata anche dalla seconda guerra mondiale, momento in cui la cooperativa venne trasformata in industria meccanizzata, rinunciando alla lavorazione artigianale.
Inoltre, la prolungata mancanza di adeguati finanziamenti decretò nel 1978 lo scioglimento della Società. Tale evento non segnava solo la fine di un’azienda, ma di un’antichissima comunità di lavoro che ha scritto la storia del vetro ed espresso una cultura lavorativa incentrata sul valore, il rispetto e la dignità di ciascun associato e collaboratore, in deliberata opposizione alle esigenze del capitale.
La nascita dell’Istituto
Ma la storia del vetro altarese non termina qui. Nel 1982 si è infatti costituito l’Istituto per lo studio del vetro e dell’arte vetraria, con lo scopo di valorizzare la memoria del ricco patrimonio artistico-culturale della tradizione vetraria di Altare e di porre le premesse per il rilancio di un’attività artigianale fedele al passato. Questi stessi presupposti spinsero l’Istituto ad acquisire la collezione di vetri già appartenuta alla Società Artistico Vetraria, ora patrimonio costitutivo del Museo del Vetro di Altare.
L’eredità altarese
Della produzione antica altarese non rimane alcun esemplare attribuibile con certezza ed è molto difficile distinguere i vetri realizzati nella cittadina da quelli fabbricati alla façon d’Altare. Dal punto di vista stilistico nella fabbricazione vetraria altarese risulta evidente l’influsso dello stile veneziano, ma in una versione più semplice e severa.
La produzione vetraria di Altare si caratterizza per essere da sempre legata alla soddisfazione delle esigenze quotidiane. I maestri vetrai dell’entroterra savonese erano infatti capaci di realizzare oggetti affascinanti nella forma e contemporaneamente funzionali; espressione di un design ante litteram, che, sommato ad una storia tanto appassionante, rende la vetraria altarese un caso straordinario nel panorama della cultura e della tradizione artigiana e protoindustriale italiana.
Fonti: bormioliartevetro.com, wikipedia